ritorno a Milano
Milano, Palazzo Reale
18 settembre 2014 - 18 marzo 2015
A Milano, dal 18 settembre 2014 al 18 marzo 2015, Palazzo Reale ospita un’altra bella mostra: quella dedicata a
Giovanni Segantini.
L'esposizione, in cui sono raccolte 120 opere, è una delle più importanti dedicate all’artista, per il fatto che è difficile vedere riunito un cospicuo numero delle stesse (distribuite generalmente tra collezioni, musei, istituzioni pubbliche e private spesso piuttosto restie al prestito) e in considerazione dell’esiguo numero di lavori prodotti da Segantini nei suoi 41 anni di vita.
L'esposizione, in cui sono raccolte 120 opere, è una delle più importanti dedicate all’artista, per il fatto che è difficile vedere riunito un cospicuo numero delle stesse (distribuite generalmente tra collezioni, musei, istituzioni pubbliche e private spesso piuttosto restie al prestito) e in considerazione dell’esiguo numero di lavori prodotti da Segantini nei suoi 41 anni di vita.
Giovanni Segantini nasce ad Arco di Trento nel 1885,
cittadina allora sotto il dominio dell’impero austro-ungarico. All’età di sette
anni rimane orfano di entrambi i genitori e viene allevato a Milano da una
sorellastra, che in realtà si cura poco di lui. Arrestato per vagabondaggio,
viene internato nel 1871 al riformatorio Marchiondi, dal quale tenta
inutilmente di fuggire, finchè un fratellastro lo prende sotto la propria
tutela. Nel 1874 si iscrive ai corsi
serali dell’Accademia di Brera e va a lavorare come garzone a bottega di un
artigiano decoratore, finché nel 1879 un suo lavoro (Il coro della chiesa di Sant’Antonio), esposto assieme ad altri
alla rassegna annuale di Brera, viene notato dal mercante d’arte Vittore
Grubicy de Dragon. Da allora prende il via la carriera artistica di quest’uomo
che saprà creare di sé stesso un mito, e di cui la morte avvenuta troppo
presto, ha contribuito ad alimentare.
La mostra e’
suddivisa in sezioni tematiche che focalizzano l’attenzione sul percorso
creativo segantiniano in base ai soggetti ai quali si è dedicato nel corso
della sua breve vita. Si apre con una serie di autoritratti che documentano la
percezione del sé dell’artista, la
consapevolezza del suo valore e del suo mito. Alla componente grafica fanno da
complemento due sculture: quella in cui il pittore e’ ritratto ventenne,
realizzato dallo scultore Emilio
Quadrelli, e quella di Segantini come
maturo e affermato artista, di Paul Troubetzkoy.
La prima sezione è dedicata agli esordi, con tele aventi per
soggetto scorci di Milano ove il pittore aveva lo studio (Il naviglio di Ponte San Marco, Passeggiata
sul Naviglio), e scene di genere tipiche della pittura dell’800. Si passa poi
alla sezione dedicata ai pochi ritratti realizzati da Segantini nel corso della
carriera, come quello della Signora Torelli
- Vollier, moglie del fondatore del Corriere della Sera, e della madre del
collezionista Casiraghi (Ritratto della
Sig.ra Casiraghi).
La terza sezione riunisce opere in cui protagonista e’ il tema della morte, soggetto tipico dell’arte simbolista e decadentista, tra le quali spiccano Ritratto d’uomo sul letto di morte e Ritratto di Carlo Rotta, realizzato quest’ultimo con la tecnica divisionista.
La terza sezione riunisce opere in cui protagonista e’ il tema della morte, soggetto tipico dell’arte simbolista e decadentista, tra le quali spiccano Ritratto d’uomo sul letto di morte e Ritratto di Carlo Rotta, realizzato quest’ultimo con la tecnica divisionista.
Un’altra sezione è dedicata al tema delle nature morte, che
dopo un po’ di anni abbandonerà, per dedicarsi completamente ai soggetti tipici:
la pittura agreste, contadini e animali in simbiosi con lo scenario naturale brianteo inizialmente, e poi quello alpino.
Infatti le sezioni
successive portano a cuore dell’arte di Giovanni Segantini.
Lasciata Milano nel 1881, egli si trasferisce con la
compagna Bice Bugatti in Brianza, dove nascerà il figlio Gottardo. L’esordio
artistico legato alla scapigliatura Milanese è ben presto abbandonato (e poi
rinnegato), alla ricerca di un ambiente personale a contatto con la natura, ove
trovare i propri temi cui dedicare la sua pittura. Li trova infatti negli
scenari agresti e nei contadini della Brianza, prima, e in quelli montani e
alpini, in seguito. Questi soggetti sono
protagonisti delle opere della sezione “Natura e vita dei campi”, con La raccolta dei bozzoli, Dopo il temporale, Vacca Bagnata, L’ultima fatica del giorno, I miei
modelli, e nei grandi paesaggi, come il famoso Alla stanga, acquistato ben presto dal governo italiano e realizzato en
plain air presso i pascoli montani di Caglio.
“Sentimento e spiritualità” è la sezione ove sono presenti
le opere A messa prima (quadro poi modificato con un differente
significato allegorico), e alcune versioni dell’opera Ave Maria a trasbordo corredate da disegni preparatori, in cui la
spiritualità semplice e vera dei contadini, memore delle atmosfere di Millett,
viene rievocata attraverso il cambiamento di tecnica: mediante il divisionismo,
infatti, si fa portatrice di un
contenuto spirituale- simbolico, che trascende quello reale dell’immagine
presentata. Altre due sezioni sono
dedicate ai disegni tratti dai dipinti - che servivano a colmare il vuoto lasciato dalle vendite, a
documentare il cambiamento di tecnica e
di stile, oltre che allargare il mercato collezionistico - e ai disegni per
illustrazioni di libri o di opere letterarie.
Segantini nel 1886 lascia la Brianza per trasferirsi a
Savognino, nei Grigioni, e diverse opere sono ambientate nelle Alpi Svizzere,
per poi trovare altra definitiva sistemazione a quote più alte, nel 1894,
nell’Engadina, dove il suo animo trovava maggiore soddisfazione. Fondamentale in questi anni fu la scoperta
della tecnica dell’applicazione del colore diviso, non mescolato, ma applicato
puro sulla tela, con stesure filamentose. E’ con la tecnica divisionista,
considerata moderna, che i divisionisti partecipano alla Prima Triennale di
Brera del 1891, ove Segantini presenta l’opera Le due madri: la maternità è l’elemento comune alla donna con il
bimbo e alla vacca con il vitello, in cui l’elemento unificante della
appartenenza alla natura vuole essere il reale significato dell’opera. Lo
stesso discorso vale per Pascoli di
primavera, pure in mostra.
la prima è dedicata
al Trittico dell’Engadina, superba
opera del suo simbolismo, in cui i monumentali
paesaggi dell’Engadina ritratti
in primavera, autunno, e inverno rappresentano
le fasi della vita e il panteismo segantiniano, ove emerge il credo in una religiosità laica della
natura (in mostra solo alcuni studi preparatori e un video di descrizione
dell’opera);
la seconda, invece è dedicata alle opere visionarie e allegoriche
facenti parti del Ciclo delle Cattive
Madri, dove la maternità negata o rifiutata costituisce elemento di
dannazione, in contrasto con la maternità laica del quadro L’angelo della vita. Qui la maternità acquista una dimensione di
sacralità laica connessa alla sua naturalità, per il fatto di contribuire al
ciclo stesso della vita. Esso è caratterizzato dalla luminosità del colore
diviso e dall’applicazione di pigmenti d’oro e d’argento, che lo rendono uno
dei migliori esiti del simbolismo di Segantini.
Con Angelo alle fonti
della vita (che si avvicina al movimento inglese preraffaellita per il suo
linearismo e per lo stile dei soggetti) si chiude la mostra, lasciando un po’ d’amarezza
per la morte, avvenuta troppo presto, per questo artista che nel contatto con
la natura ad alte quote cercava l’ispirazione per trasformare in arte il suo
personale sentire: proprio lì, su quelle montagne, colpito da un attacco di
peritonite è morto mentre lavorava sul Trittico dell’Engadina, nel 1899.
Segantini fu un mito del suo tempo. Egli grazie alle vicende personali, alla propria arte, allo stile di vita, seppe creare un immagine di sé molto vicina al concetto moderno di “divo”. Con il XX secolo, tuttavia questo mito si offuscò, ma non ha mai perso tutto il suo fascino e il suo valore. E la mostra in oggetto lo conferma.
Il catalogo di accompagnamento, con le bellissime illustrazioni delle opere esposte, e' stato realizzato dalla casa editrice Skyra, e tra i saggi spiccano in particolare quelli della maggiore studiosa dell'opera segantiniana, la critica d'arte Annie Paul Quinsac.
A. L.
Segantini fu un mito del suo tempo. Egli grazie alle vicende personali, alla propria arte, allo stile di vita, seppe creare un immagine di sé molto vicina al concetto moderno di “divo”. Con il XX secolo, tuttavia questo mito si offuscò, ma non ha mai perso tutto il suo fascino e il suo valore. E la mostra in oggetto lo conferma.
Il catalogo di accompagnamento, con le bellissime illustrazioni delle opere esposte, e' stato realizzato dalla casa editrice Skyra, e tra i saggi spiccano in particolare quelli della maggiore studiosa dell'opera segantiniana, la critica d'arte Annie Paul Quinsac.
A. L.
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