mercoledì 31 luglio 2013

CONVERSAZIONI SULL' ARTE


CONVERSAZIONE  CON EUGENIO CARMI 

In una torrida mattinata di luglio, ho appuntamento con Eugenio Carmi, nel suo grande studio nei pressi di Porta Romana. 
La sua fidata assistente, l’artista Sara Valle, gentilmente mi fa accomodare nella sala degli ospiti, ove troneggia, oltre all’immancabile divano e ad un bel tavolo in legno massiccio, una bella opera su iuta con un disco colorato a sezioni geometriche, campite di brillanti e vivaci colori. 
Tutto nello studio parla di lui: a partire dall’ingresso, con i suoi grandi dischi luminosi di fine anni ’60, ispirati alla segnaletica stradale della natia Genova di tanti anni fa, ai cataloghi e alle pubblicazioni affastellate negli scaffali, alle opere compiute o in fieri, poste in bell’ordine: ovunque è presente lo spirito che dà vita alle composizioni geometriche, perfettamente dipinte in eterno equilibrio sulla tela. 
Dò una sbirciatina alla sala maggiore: pennelli e arnesi del mestiere attendono di mettersi al servizio di questo Maestro dell' Astrattismo contemporaneo, che da circa cinquant'anni è presente nel mondo dell’arte, attraversandone le temperie culturali, sociali, stilistiche. 
Sì, perché Eugenio Carmi, nato a Genova nel ’20, negli anni ha maturato uno stile unico, risultato delle tante esperienze che hanno caratterizzato e caratterizzano la sua lunga vita. 
L’attesa è stata premiata: arriva Eugenio, arzillo, solare, sorridente, contento di far ‘due chiacchiere’ sulla sua arte. 
Ci accomodiamo al tavolo, e le due chiacchiere cominciano.
Dopo un approdo nello studio torinese di Felice Casorati, intorno alla fine degli anni ’40, e la formazione di grafico ("per campare", mi dice), negli anni ’50 è chiamato a lavorare come Art director per l’azienda siderurgica ITALSIDER, sodalizio che andrà avanti per quasi dieci anni. Eugenio rinnova l’immagine dell’azienda, ma si fa promotore di iniziative che coinvolgono anche gli operai, allo scopo di sensibilizzarli alla produzione artistica: la produzione industriale, se trasformata, può diventare un’opera d’arte. Vengono invitati artisti di fama internazionale, e al termine del rapporto con la ITALSIDER, durante il quale conosce Umberto Eco, diventandone amico, gestisce la Galleria IL DEPOSITO, a Boccadasse. 
Anche lì, altri artisti collaborano alla realizzazione di opere alla portata di tutti, autofinanziandosi con i proventi delle vendite.
 Il linguaggio degli anni ’50 è l’Informale, sulla scia delle nuove tendenze artistiche del dopoguerra. 
Negli anni ’60 si fa strada la componente Cinetica, e nel ’66 e nel ’68 presenta rispettivamente alla Biennale di Venezia, e a Londra, due macchine di sua invenzione che proiettando fasci di luce colorata e lettere in  movimento, interagiscono con la sensorialità dello spettatore, stimolandola.
Si affaccia però la strutturazione geometrica, e superata la tendenza Informale, ora predomina la forma geometrica, il quadrato, il cerchio, il triangolo, che intersecandosi tra di loro danno vita ad inedite composizioni: queste si fanno apprezzare per la brillantezza del colore, il contrasto con i grigi, i bianchi, i neri, il rapporto tra le forme.
Negli anni ’70 si delinea il suo stile, consolidato nel decennio successivo. Vengono sperimentate nuove tecniche e nuovi supporti, mentre tra le varie  mostre personali importanti, si segnala anche la realizzazione di un programma astratto per la RAI. 

La sua ricerca continua tuttora, con lo studio sulla sezione aurea, alla base di molte regole matematiche in natura. 
Gli chiedo come usa il colore: mi dice che lo usa... "così come lo sento, come mi viene"; e io aggiungo che le sue opere mi danno la sensazione che il colore sia la "nota emozionale", che va a temperare la rigidità della struttura geometrica, in un felice connubio tra linee rette, curve, e colori mutuati dallo spettro iridescente.
Le ricerche astratte sulla forma di Kandinsky, Malevic, gli astrattisti degli anni ’30 e i ‘Concretisti’ dei ‘40, le forme di Vasarely interiorizzate e rielaborate, contribuiscono alla costruzione di un linguaggio autonomo, personale, indipendente e immediatamente riconoscibile.
 "Qual è il significato delle composizioni?" gli domando io. "E’ nei titoli", mi risponde lui. 
Gli chiedo se non teme che una produzione eccessiva possa essere ripetitiva, oltre al rischio di saturare il mercato e inficiare il valore delle opere. Mi risponde candidamente che, pur apparendo simili, in realtà ad un'analisi più approfondita le opere sono diverse l’una dall’altra, e che continuerà a lavorare così, come gli viene finchè potrà, perché lui si definisce un ‘fabbricante di immagini’. "Bellissime!", aggiungo io: anche con la geometria, si può creare bellezza.
Un’ultima domanda: quest’uomo avrà avuto al suo fianco una persona da amare? "Kiki - mi risponde- siamo stati insieme una vita, cinquant' anni! E’ venuta a mancare nel 2007. E’ stata una presenza importante, fonte di  ispirazione e di costante sostegno morale".  
Si concludono così le nostre due chiacchiere, con questo tenero ricordo della sua amata compagna Kiki  Vices Vinci, e con la foto di rito, scattata dalla gentile Sara Valle. 
Ed Eugenio, sorridente, mi saluta dicendo: "Ora devo andare, ho un altro appuntamento. Ma è stato un piacere far due chiacchiere con lei, e la informo che prossimamente ho una mostra di vetrate a Genova!". 
Uomo instancabile, Eugenio Carmi continua, nonostante gli anni, ad interrogarsi sulla bellezza nelle sue forme astratte, e a tentare di catturare le emozioni che da essa derivano, sperimentandone la rappresentazione anche nella fragile trasparenza del vetro. 
In attesa dell'apertura della mostra intitolata 'La trasparenza inquieta' (Genova, 7 Settembre - 27 Ottobre 2013), auguriamo al Maestro ancora tanti lunghi anni fecondi di grandi opere, nonché di ulteriori gratificazioni personali e professionali, ringraziandolo per il suo importante contributo al mutevole e 'inquieto' mondo dell'Arte .
  

Antonio Laviano



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